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Dada

1916

CUT, DADA, CUT!

Ralf Burmeister,
Direttore degli archivi artistici,
Berlinische Galerie

Se Dada rappresentava «la rivolta totale contro tutte le abitudini, tutte le credenze e tutti i privilegi» (con le parole del dadasofo Raoul Hausmann), il collage rappresenta allora la sua forma d’espressione figurativa più congeniale. I collage dadaisti nascono e sono composti da contraddizioni. Lo spirito intrinseco contenuto in queste opere è quello della distruzione produttiva e della destabilizzazione chiarificatrice.

Nauseati dal concetto perbenistico di come deve nascere e a che cosa deve somigliare l’arte, i dadaisti lasciarono seccare i loro tubetti di colore, perché il «geniale» pennello dalle setole curve e la tela come rifugio dell’immaginazione, avevano ormai fatto il loro tempo. Si rivolsero ai (soli) mezzi d’informazione del tempo, i quotidiani e le riviste, e, muniti di forbici, sezionarono la rappresentazione del presente lì riprodotta. Nel collage, quest’immagine del mondo, grottescamente fatto a pezzi, è, de facto, la riproduzione di un mondo grottesco in cui, nonostante la prima guerra mondiale, il nazionalismo e il militarismo si facevano strada. I collage Dada sono specchi deformanti della realtà. In queste opere, la realtà, con tutti i suoi rifiuti, è deformata fino a diventare riconoscibile. I collage fungono da protesi mentali per gli spettatori: le incrostazioni intellettuali possono essere frantumate, le repressioni vengono represse. E questo rende il collage dadaista un prototipo dell’arte di critica sociale degli ultimi cento anni. Nel frattempo, il collage, l’unire elementi che in origine non hanno nessuna affinità, è diventato una tecnica culturale onnipresente: dal sampling musicale ai collage letterari alla Herta Müller, fino alla Body Modification (modificazione corporale).

Dada

2016

Diventiamo la parodia del mondo che si fa i selfie

Anita Hugi & David Dufresne

Titre: Diventiamo la parodia del mondo che si fa i selfie

Il fotomontaggio è la grande idea fondatrice di DADA. E questa grande idea è lo zoccolo della nostra cultura moderna. Il fotomontaggio è una forma d’ipertesto prima dell'ipertesto, questa «rete potenzialmente infinita di connessioni» secondo quanto dice il suo teorico, Ted Nelson (1965). Il fotomontaggio capisce tutto e coglie il nulla delle epoche. È mix e remix, sampling e sangue nuovo, è furtivo e aleatorio, è Snapchat e Instagram, in guerra e in libertà, mass-media e mass-murder della stupidità ambientale. Dall’improvvisazione nasce il caos; e dal caos, il piacere. Il piacere di ridere, e non di prendere in giro, il piacere dello choc e dei sensi, il piacere di «fare una cosa bella e una gioia eterna [a partire] da elementi da cui non ci si aspettava più né bellezza né gioia» (Hannah Höch)

Tristan Tzara, ancora lui: «A occhi chiusi, DADA mette prima dell’azione e al di sopra di tutto: il Dubbio. DADA dubita di tutto. DADA è tatoo. Tutto è DADA. Diffidate di DADA»

Oggi, come nel 1916, la tecnologia ha fatto dei balzi. Cento anni fa, era la fotografia, la stampa, il fotogiornalismo, le prime radio, le nuove catene di montaggio, la macchina che s’impone, e la guerra meccanica che giubila, il gas mostarda e le trincee di fango; e DADA che adotta e critica, allo stesso tempo, l’accoppiata culturale, oggi trionfante, tra i media e la macchina. Kurt Schwitters ritagliava giornali e pubblicità, Max Ernst tagliuzzava cataloghi di vendita per corrispondenza, e Hannah Höch attingeva dalle riviste femminili.

Cento anni più tardi, tutto è cambiato al punto di ritornare allo stesso punto. DADA costituiva la prima generazione dei media di massa. Diventiamo la parodia del mondo che si fa i selfie.

Tristan Tzara, sempre lui: «Gli inizi di DADA non erano gli inizi di un’arte ma quelli di un disgusto».